Dopo l’introduzione del PSA quale marcatore tumorale della prostata e il suo utilizzo nello screening di massa, sempre più sono stati individuati casi clinici di sospetto carcinoma prostatico.

In ogni caso l’esame più importante rimane la biopsia prostatica. Con il paziente in sedo-analgesisa, e l’uso di sottilissimi aghi si eseguono dei prelievi di tessuto prostatico nelle zone più soggette allo sviluppo della patologia o su un nodulo definito, qualora sia presente. L’uso dell’ecografia prostatica transrettale permette una visione ottimale della ghiandola che viene quindi biopsiata attraverso la via transrettale .

Negli ultimi anni ci sono stati profondi cambiamenti nel campionamento, nell’interpretazione e nella compilazione del referto istologico, per quanto riguarda le biopsie prostatiche.

Dopo l’avvento del PSA chiaramente è cambiato anche l’approccio alla biopsia prostatica, che ha assunto un ruolo importante nella diagnosi precoce passando ad una sistemicità e aumento dei prelievi da effettuare.

Chiaramente i parametri che inducono ad effettuare la biopsia rimangono il sospetto all’esplorazione rettale, l’aumento del PSA, oggi affiancato dal PCA3 urinario e PHI, e da zone sospette all’ecografia transrettale.

Ecco quindi che sono esponenzialmente aumentate forme istologiche che obbligano l’istologo a maggiori capacità diagnostiche nella diagnosi differenziale e obbligano l’urologo a saper orientare in maniera adeguata e corretta il proprio paziente.

Le due principali lesioni che possono condizionare il nostro comportamento clinico sono:

  • il PIN (Prostatic Intraepiyhelia Neoplasia)
  • la proliferazione acinare atipica sospetta ma non diagnostica di carcinoma detta ASAP (Atypical Small Acinar Proliferation ).

Il PIN è una lesione neoplastica non invasiva dell’epitelio duttulo-acinare. Nei primi tempi era stato suddiviso in PIN1 PIN2 PIN3 in base al grado di atipie, successivamente è stato riclassificato in PIN di basso grado e PIN di alto grado. Successivamente dopo rivalutazioni biomolecolari del carcinoma prostatico ci si è limitati, a tutt’oggi a riconoscere il PIN di alto grado (HGPIN, High Grade PIN), indicandolo come precursore del carcinoma stesso. Chiaramente il HGPIN può mimare strettamente caratteristiche citoarchitettoniche del carcinoma prostatico e, spesso ,anche caratteristiche citologiche, come la permanenza delle cellule dello strato basale, non permettono la diagnosi differenziale.

ASAP di contro rappresenta essenzialmente una diagnosi di esclusione, e si riferisce a un sospetto istologico che non autorizza a porre la diagnosi di adenocarcinoma. Sono presenti alcuni criteri che depongono per un carcinoma, ma non tutti. Talvolta si eseguono sezioni seriate e colorazioni immunoistochimiche per poter raggiungere un 80% di diagnosi, il resto viene lasciato ad una valutazione clinica.

Quindi, malgrado il criterio morfologico rimanga fondamentale ed abbia un ruolo dominante, si evince che anche l’immunoistochimica assume un ruolo importante nei casi dubbi.

L’80% dei carcinomi si associa al PIN, ma non certo il contrario. Non dimentichiamoci che la risposta istologica avviene sempre in un contesto clinico.

Dai dati della letteratura possiamo dire che il valore predittivo del PIN ad alto grado passa dal 35% al 21% dopo una seconda biopsia. Evidentemente i carcinomi che accompagnano il PIN di alto grado sono molto piccoli e difficilmente individuabili dall’ago da biospia. Anche il valore predittivo dell’ASAP si è ridotto, passando dal 45 al 39%. In ogni caso la presenza di ASAP rimane un importante indicatore per la ripetizione delle biopsie prostatiche.

Per quanto riguarda i tempi di ripetizione delle biopsie, dalle ultime linee guida dell'EAU (2014) si sottolinea come un isolato reperto di PIN di alto grado non imponga la necessità di una re- biopsia, mentre potrebbe esserlo nel caso di più reperti di PIN di alto grado in quanto associato, in questo ultimo caso, ad un 20- 30% di rischio di cancro, tempo che si riduce invece a 4 mesi in presenza di ASAP, come ricordo importante indicatore data la più stretta associazione al PCa ( circa 40%).

In conclusione, in questi ultimi anni abbiamo visto trasformarsi metodiche clinico-patologiche, tecniche di prelievo e interpretazione diagnostica. L’urologo deve conoscere le nuove definizioni spesso motivo di confusione per il paziente e il medico curante. L’immunoistochimica è a nostro vantaggio per dirimere le forme dubbie, mentre in un 20% sono ancora la clinica, la sensibilità e l’esperienza a decidere.

Negli ultimi tempi sta però facendosi sempre più concreta la possibilità di eseguire biopsie mirate in base alla risonanza magnetica della prostata.