tumore al rene e diagnosi accidentali

Ogni anno in Italia quasi 6.840 persone scoprono ‘per caso’ di avere il tumore del rene: il 60% delle nuove diagnosi avviene infatti grazie a controlli eseguiti per altri motivi. Se la malattia è individuata in fase iniziale le possibilità di guarigione superano il 50%, ma ancora troppi cittadini ignorano i principali fattori di rischio come fumo di sigaretta, obesità ed ipertensione arteriosa. Il fumo di sigaretta aumenta del 54% le probabilità di sviluppare la malattia fra gli uomini e del 22% fra le donne.  Un ruolo particolare è attribuito al sovrappeso, a cui va ricondotto il 25% delle diagnosi. Un dato preoccupante se consideriamo che il 45% degli italiani over 18 è in eccesso di peso. È stato stimato un incremento del rischio pari al 24% negli uomini e al 34% nelle donne per ogni aumento di 5 punti dell’indice di massa corporea. Anche l’ipertensione arteriosa è un fattore di rischio ed è associata a un incremento del 60% delle probabilità rispetto ai normotesi. Per questo è importante trasmettere ai cittadini i messaggi della prevenzione. Inoltre, l’impiego sempre più diffuso della diagnostica per immagini consente di individuare la malattia in pazienti monitorati per altre cause. Sono le cosiddette diagnosi “casuali”, estremamente importanti perché spesso mostrano la malattia in fase iniziale. Nel 2016 in Italia sono stati registrati 11.400 nuovi casi, in tutto il mondo ogni anno se ne stimano circa 338.000  (925 ogni giorno, uno ogni 90 secondi). Nonostante si preveda un aumento delle diagnosi entro il 2020 (+22%) ancora oggi le cause di questa malattia restano in gran parte sconosciute.

Pertanto, risulta fondamentale  sensibilizzare la comunità intera su un tema ancora oggi poco discusso e rispondere alle domande che potranno fare la differenza per i pazienti di tutto il mondo. L’obiettivo è avviare un processo di sensibilizzazione globale e locale sulle regole della prevenzione, sui sintomi e sui fattori di rischio del tumore del rene.  Nei tumori renali la chemioterapia e la radioterapia si sono dimostrate, storicamente, poco efficaci. L’oncologo, insieme all’urologo e all’équipe multidisciplinare, decide qual è il trattamento migliore prendendo in considerazione diversi fattori. L’intervento chirurgico, conservativo quando possibile, è spesso la sola arma necessaria per raggiungere la guarigione. Un tempo la nefrectomia radicale, cioè l’asportazione totale del rene, era un intervento indispensabile, oggi è programmato in casi particolari. Infatti, è dimostrato che la chirurgia  mininvasiva permette di preservare la maggior quota di rene ‘sano’ senza differenze nelle possibilità di guarigione rispetto all’asportazione totale dell’organo.

La sopravvivenza a 5 anni in Italia è pari al 71% (70% uomini e 72% donne), statisticamente più elevata della media europea (60,6%) e del Nord Europa (55,8%). Va considerato che circa un quarto dei pazienti, anche se operati in maniera radicale, va incontro a recidiva.

Per le persone con neoplasia in fase metastatica, i farmaci a bersaglio molecolare hanno permesso di allungare la sopravvivenza di oltre 2 anni. Tali terapie sono caratterizzate da un comune denominatore: svolgono un’azione ‘anti-angiogenica’, hanno cioè la capacità di inibire la formazione di nuovi vasi sanguigni. In particolare, l’introduzione degli inibitori delle tirosin-chinasi, in seguito alla scoperta di una peculiarità del carcinoma a cellule renali metastatico cioè della sua particolare propensione a indurre vasi neoformati, ha profondamente cambiato le prospettive di cura Nel 2016 lo scenario terapeutico europeo si è arricchito di nuove molecole con meccanismi d’azione diversi. Da un lato l’immunoterapia e dall’altro i nuovi inibitori tirosin-chinasici fra i quali il cabozantinib, che ha evidenziato miglioramenti clinicamente significativi in uno studio di fase 3 nei parametri di efficacia più importanti: sopravvivenza globale, progressione libera da malattia e tasso di risposta obiettiva.

Dott. Gian Luca Milan

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