Il tumore della vescica rappresenta una delle neoplasie di più frequente riscontro nella pratica clinica di un medico e in particolare dell’urologo. Colpisce sia individui di sesso maschile che femminile e il fattore di rischio principale è rappresentato dal fumo di sigaretta. Altre cause sono le esposizioni professionali come gli i lavoratori delle industrie che producono gomme o gli addetti alla verniciatura. Il tumore della vescica è molto aggressivo nei casi di malattia avanzata ma fortunatamente, molto spesso, riusciamo a diagnosticarlo e trattarlo nelle fasi precoci riuscendo, in tal modo, a conservare l’organo e mantenere inalterate le funzioni urinarie e sessuali. Tuttavia, quando si parla di cosa fare quando diagnostichiamo un tumore superficiale della vescica molta è la confusione su come gestire, trattare e seguire il paziente. Molti sono i trattamenti a disposizione e molte sono le variabili individuali che possono incidere su una scelta del trattamento rispetto ad un altro (età del paziente, tipologia del tumore, fattori di rischio, infezioni vie urinarie …). Recentemente una serie tra i più autorevoli esperti di neoplasia transizionale della vescica (internetional bladder cancer group) sono stati coinvolti per riassumere e confrontare le raccomandazioni emerse dalle principali linee guida internazionali (EAU, FICBT, NCCN, AUA).

Questo argomento è in effetti uno dei più dibattuti nell’ambito della ricerca sulla neoplasia vescicale, avendo importanti ripercussioni cliniche e pratiche sulla gestione dei malati.

Alcuni punti fondamentali sono supportati da significative evidenze scientifiche: la resezione (asportazione) endoscopica del tumore rappresenta il principale obiettivo come diagnosi e trattamento nei tumori superficiali vescicali: la resezione (TURB) deve essere completa e stadiativa (ovvero comprensiva della valutazione della tonaca muscolare, in assenza della quale la resezione deve essere ripetuta); la instillazione chemioterapica endovescicale è sempre consigliata nei pazienti considerati a basso rischio (lesione < 5 mm, solitaria), più precocemente possibile dalla resezione (senza significative differenze tra mitomicina ed epirubicina) esclusi i casi in cui sia avvenuta una perforazione vescicale.

Nella gestione dei pazienti a rischio intermedio vi unanime accordo sulla indicazione alla esecuzione di instillazioni endovescicali adiuvanti, senza significative differenze né riguardo alla scelta del farmaco (BCG, Mitomicina) né sulla necessità di proseguire con istillazioni di mantenimento (giudicate opzionali e in ogni caso da non protrarsi oltre i 12mesi).

Nei pazienti ad alto rischio sono indicate le instillazioni con BCG con successivo ciclo di mantenimento; non c’è consenso univoco sulla indicazione ad eseguire una seconda resezione seconda resezione endovescicale. In alcuni pazienti selezionati va considerata l’indicazione all’intervento di cistectomia radicale (casi multifocali, con carcinoma in situ associato, in caso di coinvolgimento dell’uretra prostatica o in caso di lesioni in sedi difficili da resecare endoscopicamente).

Rimangono tuttavia importanti “zone grigie” nelle quali ad oggi non ci sono definitive evidenze scientifiche: in primo luogo al reale attribuzione ad una categoria di rischio; quindi la scelta dello schema di instillazioni ottimale; infine la gestione delle malattie plurirecidive (treatment failure).

 Dott. Gian Luca Milan