covid 19 in circolo

Il virus SAR-COV-2 (COVID-19) è un virus che ha sconvolto negli ultimi mesi i sistemi sanitari di tutto il mondo e l’OMS ha dichiarato questa infezione come pandemica. L’osservazione e l’esperienza clinica porta all’attenzione scientifica le sequele che tale malattia infettiva può causare nei pazienti colpiti dove il danno nei pazienti affetti da tale malattia sia in fase acuta sia dopo la guarigione può colpire non solo l’apparato respiratorio ma anche altri organi o apparati quale quello renale.

Il COVID-19 danneggia anche i reni, con meccanismi e conseguenze diverse e pertanto, questo è un problema da tenere ben presente sia sul piano clinico, che organizzativo per fronteggiare adeguatamente l’emergenza, visto che è tutt’altro che raro.

Uno studio cinese ha evidenziato che metà delle persone ricoverate per COVID-19 presenta proteine o sangue nelle urine, un evidente segno di danno renale.

E’ emerso che circa il 15-30% dei pazienti con COVID-19 ricoverati in rianimazione a Wuhan e a New York inoltre presentava un deterioramento della funzione renale tale da richiedere una dialisi.

Il meccanismo d’azione attraverso il quale il coronavirus attuale determina un danno renale è duplice.

  • Da una parte si è visto da studi autoptici che è stata dimostrata la presenza del virus a livello renale, sia nelle cellule tubulari che nelle cellule epiteliali del glomerulo (meccanismo di tossicità diretta del virus). 
  • Poi ci può essere un meccanismo legato alla famosa tempesta citochinica, a questa gravissima reazione infiammatoria sistemica che può avere ripercussioni a livello renale (come quella che avviene a livello polmonare con le gravi conseguenze cliniche a tutti noi conosciute).

Citochine e mediatori dell’infiammazione possono danneggiare il parenchima renale sia direttamente sia indirettamente e difatti nelle autopsie dei pazienti deceduti di COVID-19 si sono evidenziati infiltrati infiammatori a livello del rene, segni di attivazione della cascata del complemento e un importante danno endoteliale, lesioni queste potenzialmente riconducibili all’azione delle citochine pro-infiammatorie presenti in circolo.

Questi mediatori circolanti possono, però, danneggiare il rene anche indirettamente attraverso ipossia, shock e rabdomiolisi (molti pazienti con COVID-19 presentano segni di danno muscolare, testimoniato da un aumento delle CPK nel sangue).

Il virus può compromettere anche la capacità di produrre eritropoietina (l’ormone che stimola il midollo osseo a produrre globuli rossi) e la vitamina D.

Il virus potrebbe anche annidarsi all’interno del rene e continuare ad essere eliminato attraverso le urine, una volta scomparso da altre parti del corpo.

L’incidenza di insufficienza renale acuta oscilla dal 5 al 30% dei pazienti con COVID-19, sia nei reparti di degenza, che più frequentemente in terapia intensiva.

Pertanto, sarà importante monitorare nel tempo in questi pazienti, anche dopo la dimissione, quali conseguenze potrà avere questo danno renale acuto legato al virus nel lungo termine.

Non sappiamo infatti se questi pazienti avranno problemi renali o meno, in seguito.

Secondo uno studio recente effettuata dalla Società Italiana di Nefrologia, la percentuale di pazienti con COVID-19 in emodialisi è del 2,8% e quella dei pazienti in dialisi peritoneale del 2,4%.

Uno dei trattamenti proposti nei pazienti con danno nefrologico è l’aferesi che ha lo scopo di ridurre il danno della tempesta citochinica.

L’aferesi consiste nel far passare il sangue del paziente attraverso un apposito filtro, che rimuove le proteine infiammatorie (citochine), la cui concentrazione aumenta in maniera abnorme in corso di infezione e che sarebbero alla base dei gravi danni a carico del polmone e forse anche dei reni indotti dal COVID-19.

La filtrazione del sangue di queste proteine (le citochine) potrebbe aiutare a proteggere gli organi dal danno da queste indotto.

L’infezione virale da SAR-COV-2 è stata talmente importante e sconvolgente che inevitabilmente produrrà numerosi studi retrospettivi che potranno chiarire in futuro il ruolo patogenetico che tale virus determina in vari organi e apparati. 

Da una valutazione preliminare si è capito che anche l’apparato urinario può essere coinvolto da tale virus e in casi particolari il coinvolgimento renale, oltre a quello polmonare, può rappresentare il meccanismo attraverso il quale i pazienti affetti da tale virus possono avere una prognosi sfavorevole.

Dott. Gian Luca Milan

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